L’assurdità della moda

Pur di seguire la moda a zero tasso di dress code, molti dimostrano miopia, se non cecità. Anche quando il fisico, l’età o semplicemente le circostanze suggerirebbero stili e scelte più adeguati

Pantaloni «cropped». Per me che non seguo le mode erano un vero mistero. Indago e scopro che si tratta di pantaloni tagliati, letteralmente. Il popolo femminile è rimasto fulminato, nell’autunno/inverno in corso, da questo capo d’abbigliamento, perché le città pullulano di signorine, e anche signore over-over, che li indossano. Sono larghi e arrivano a metà polpaccio (più o meno). Orrendi. Mio gusto personale, non me ne vogliano gli stilisti.

Tra l’altro, potrebbero permetterseli solo lo zero virgola per cento della popolazione femminile, ovvero le donne a cui starebbe bene anche il classico sacco di juta. Il vero dramma, poi, è che questi «cropped» vengono indossati con scarpe da ginnastica, calzine in vista e polpaccio (-ino, -one) in bella mostra: una divisa, portata con fierezza. Scusate, allora preferisco le donne cadetto dell’Accademia di Modena. Ma c’è una differenza: loro devono indossare la divisa (e comunque sono una meraviglia), mentre le signore e le signorine a spasso possono scegliere. Che cosa risponderà loro lo specchio quando domanderanno: «Chi è la più bella del reame?». Evidentemente non ci sono più gli specchi di una volta… Mi chiedo perché le persone abbiano questa smania di vestirsi alla moda, anche quando il loro fisico, la loro età o semplicemente le circostanze suggerirebbero stili e scelte più adeguati. Perché diventiamo miopi o del tutto ciechi, pur di seguire le tendenze a zero tasso di dress code?
Questo atteggiamento non riguarda soltanto l’abbigliamento, ma le abitudini di vita degli individui: pensiamo ai tatuaggi, agli oggetti status symbol, ma anche all’indifferenza al brutto, alla sporcizia, alla violenza, alla mancanza di valori e rigore. Lo si può notare sia dalle trasmissioni televisive che raggiungono i maggiori ascolti sia dalla profonda crisi che vive la famiglia in quanto microcosmo sociale. Ma se nella moda l’omologazione non crea danni (se non nel gusto estetico di chi guarda), in altri contesti può portare invece a conseguenze decisamente più gravi. Siamo proprio così deboli e destrutturati? «Non c’è dubbio che siano cambiati sensibilmente quei codici estetici (ed etici) universalmente accettati, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto esteriore», spiega Rosario Sorrentino, neurologo. «I concetti di bello, armonia, equilibrio sembrano caduti in prescrizione. Irrompono sulla scena modelli estetici sempre più alternativi, che tendono a disgregare quelli tradizionali, sostenuti dai mass-media, che li presentano come espressioni nuove, andando controcorrente. Tutto questo risponde comunque a un bisogno generalizzato di trasgressione, di contrapposizione ai modelli classici e universali come modalità di espressione e di ribellione. Mai come ora va di moda il relativismo culturale, ovvero un modello espressivo che talvolta oltrepassa il comune senso di decenza, di solito prioritario rispetto al senso estetico. Questo processo, il non voler riconoscere l’universalità di alcuni modelli estetici ed etici, provoca sia un impoverimento personale sia una forma di aggressione verso il prossimo. Diventa indispensabile stupire più che mantenere un’armonia di punti di riferimento perché dietro a questo stupore, pensiamo ai tatuaggi, c’è il bisogno di marcare la differenza o trovare una identità, evidentemente effimera. Il tentativo di smarcarsi dai canoni estetici nasconde tuttavia una spinta al conformismo e all’omologazione: si arriva dritti al concetto di identità. Nel tentativo di attirare l’attenzione ci omologhiamo e questo rivela mancanza di autostima. Solamente chi è strutturato e risolto non cede alle lusinghe talvolta assurde di quello che le mode o i modi propongono, sottraendosi così sia al ridicolo sia alla perdita del comune senso di decenza, affermando a chiare lettere la propria identità».

Nella letterina a Babbo Natale, chissà che non voglia ascoltarmi, ho chiesto anche che scompaiano i cropped dai guardaroba femminili e, già che ci siamo, qualche decina di migliaia di improvvisati fashion blogger, che distruggono tutto ciò che da tempo immemore ha reso famoso il nostro Paese nel mondo, ovvero la professionalità dei sarti e degli artigiani che hanno fatto la storia della moda. Oggi gli stilisti hanno perso il tocco magico oppure siamo noi a non essere più meritevoli di abiti degni di tale nome. Un tempo passavo davanti alle vetrine dei negozi e dovevo accelerare il passo per non essere attirata da capi irrinunciabili e svuotare così la mia carta di credito. Oggi passo davanti a quelle stesse vetrine e non ho nessun impulso. Il mio conto corrente è al sicuro, almeno dalle spese pazze per l’abbigliamento. Io, però, ho nostalgia. Caro Babbo Natale, riportami le vetrine di una volta, la carta di credito se ne farà una ragione.

ANZICHÉ TUTELARE
I CANONI
ESTETICI PREFERIAMO STUPIRE CON
SCELTE AZZARDATE.
È IL BISOGNO
DI SOTTOLINEARE
LA DIFFERENZE E TROVARE UN’IDENTITÀ EVIDENTEMENTE DEL TUTTO EFFIMERA.

Barbara Prampolini per ARBITER | FEBBRAIO 2018

Written by barbaraprampolini