Paolo Nespoli. Sognavo di fare l’astronauta.
«Se una persona non ha più sogni, non ha più alcuna ragione di vivere. Sognare è necessario, anche se nel sogno va intravista la realtà. Per me è uno dei principi della vita» (Ayrton Senna).
Il nostro cervello funziona in modo bizzarro; anche quando noi agiamo verso una direzione, sappiamo, oggi con certezza, che non è sempre una scelta libera anche se apparentemente crediamo lo sia. Uno dei tesori che possiamo ricevere in dote dai nostri genitori è quello di concederci la libertà di sognare il nostro futuro. La maestra chiedeva un tempo all’alunno: «Cosa vuoi fare da grande?» e lui senza esitazione rispondeva sicuro e fiero: «Maestra, io da grande voglio fare l’astronauta o il pompiere!». Che fare il pompiere fosse un obiettivo più facile da raggiungere dell’astronauta, o che quest’ultimo guadagnasse più del primo, non era una variabile. Il bambino aveva due sogni e per lui erano ugualmente importanti. Esistono persone che per genetica, per predisposizione psicofisica hanno più possibilità di altri di raggiungere sogni quasi irrealizzabili, ma anche per loro non è il Dna il motore che li spinge verso una mèta, bensì prima fu il sogno poi la passione e la determinazione. Senza il seme del sogno né Senna sarebbe diventato quello che è stato, né il mio attuale ospite sarebbe diventato uno dei pochissimi privilegiati a toccare il cielo con un dito. Parlo di Paolo Nespoli, l’astronauta che a 60 anni ha trascorso il suo periodo più lungo sulla stazione internazionale, durato ben sei mesi. Non è per tutti diventare come lui, ma certamente è necessario sognarlo. Ho preso contatto con lui quest’estate, mossa dal mio ardore incessante di conoscere persone straordinarie; e lui senz’altro lo è. La lunga chiacchierata ha messo in luce, tra i tanti, due concetti importanti: la capacità dei ragazzi di oggi di sognare e l’effetto che lo spazio ha sul nostro organismo. La risposta di Nespoli alla prima domanda mi ha lasciato l’amaro in bocca. L’astronauta appena andato in pensione incontra spesso gruppi di studenti che hanno mille curiosità da soddisfare. Ebbene, durante una delle sue recenti conferenze ha scoperto che i sogni sono sul viale del tramonto e che la colpa non è dei bambini ma dei modelli che si trasmettono loro, quella famosa libertà di sognare che toglie il freno all’immaginazione lasciandola libera di volteggiare in qualunque direzione. «Oggi», afferma Nespoli, «ciò che conta non è realizzare un sogno o impegnarsi in qualcosa di appassionante, quanto piuttosto diventare ricco. Sono sbagliati i messaggi che fanno credere ai ragazzi che la ricchezza equivalga alla felicità. Per essere felice è importante fare qualcosa che ti faccia stare bene con te stesso. Il denaro come sinonimo di gioia è pura illusione. Esistono tantissimi ricchi depressi; la felicità è poter fare ogni giorno ciò che ci appaga». Questa è tra le peggiori bugie: instillare, soprattutto nei giovani, l’equazione ricchezza uguale felicità a tal punto che smettono di sognare, credendo di desiderare solo fama e ricchezza.
Il pensiero costante di diventare ricchi a un certo punto può trasformarsi anche in ossessione annullando ogni altro sentire, e impedendoci di fatto la libertà di sognare e di essere e fare ciò che desideriamo veramente.
«L’organismo», sottolinea Nespoli in merito al secondo concetto, «reagisce abbastanza bene alla situazione di “confinamento” e all’assenza di gravità, tuttavia esistono alcune problematiche alle quali si deve far fronte. Innanzitutto, il corpo senza il peso della gravità cerca di sbarazzarsi di ciò che non gli serve, come lo scheletro, e per contrastare questo istinto dobbiamo lavorare sodo sia a terra sia sulla stazione orbitante, con un allenamento costante e quotidiano. «Inoltre», continua Nespoli, «nello spazio si verifica un innalzamento della pressione intracranica che porta problematiche agli occhi, con la perdita talvolta di diverse diottrie. Si registra poi una perdita di parte del peso scheletrico, nell’ordine del 2-3%. Si tratta comunque di conseguenze che vale in ogni caso la pena sopportare per raggiungere un sogno, per dare un contributo alla ricerca e per vivere un’esperienza sicuramente straordinaria».
Nello spazio accade anche poi una vera magia: «In orbita si lavora in team con altri astronauti: russi, americani, europei, giapponesi, che sono i compagni d’avventura. Ciascuno di noi mette letteralmente la propria vita nelle mani degli altri. Sicuramente la stazione è una testimonianza di come alcune cose che sembrano impossibili diventano possibili. Paradossalmente, là in alto non esistono più le singole patrie; prevale un senso superiore di appartenenza al genere umano e tutti collaboriamo per portare sulla Terra i risultati di esperimenti che appartengono a tutta l’umanità. Lo spazio è uno straordinario esempio di perfetta cooperazione tra i popoli». Cose che succedono quando si continua a credere nei propri sogni.
Barbara Prampolini per Arbiter mese di Dicembre 2018
Foto di Paolo Nespoli da Google.
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