Gli attacchi di panico dal punto di vista dello psicoterapeuta

Gli attacchi di panico o meglio il disturbo di panico non è solo di competenza del neurologo per quanto riguarda la diagnosi e la terapia farmacologica, ha anche una rilevanza significativa il ruolo della terapia cognitivo-comportamentale. Questa è l’intervista al Dott. Enrico Prosperi in merito.

Gli attacchi di panico rientrano nella famiglia dei disturbi d’ansia e colpiscono il 2-3% della popolazione occidentale. In Italia, lo studio ESEMeD (European Study on the Epidemiology of Mental Disorders) ha rilevato una frequenza inferiore al 2%. Secondo il Diagnostic And Statistical Manual of Mental Disorders (DSM V) per fare diagnosi di attacco di panico è necessaria l’insorgenza in pochi minuti di un’intensa paura accompagnata da almeno quattro dei seguenti sintomi: palpitazioni o tachicardia, sudorazione, tremori, mancanza di respiro, sensazione di soffocamento, dolore al petto, nausea o disturbi addominali, senso di sbandamento o svenimento, brividi o vampate di calore, sensazioni di formicolio, sensazione di essere distaccati da se stessi, paura di impazzire e di morire. Sintomi così comuni possono spesso indurre il medico a fare diagnosi di attacco di panico anche in presenza di condizioni diverse. Diventa necessario quindi essere sicuri che l’episodio non dipenda da particolari disturbi medici (ad esempio l’ipertiroidismo o alcune malattie cardiopolmonari) o da altre problematiche mentali o in seguito all’abuso di droghe o farmaci.

In genere dopo un episodio di attacco di panico, la persona si preoccupa di poter vivere nuovamente l’esperienza e comincia a sviluppare comportamenti per evitare tale eventualità.

Come mai solo alcune persone sviluppano un disturbo di panico? Fattori temperamentali, ambientali e genetici concorrono per lo sviluppo di questo problema. Spesso individui che hanno vissuto un attacco di panico riferiscono di aver vissuto forti stress qualche mese prima dell’episodio, ad esempio la morte o la malattia di un familiare o altre esperienze negative. Il modello cognitivo comportamentale afferma che, dopo un primo episodio di panico, l’individuo vive in costante allarme i propri segnali fisici e in loro presenza evita le situazioni considerate pericolose, innescando un vero e proprio circolo vizioso. Una sensazione fisica, vicina a quella esperita, determina il pensiero di rivivere la situazione temuta e di conseguenza stare malissimo. L’evitamento della situazione provocherà un momentaneo benessere che confermerà le convinzioni fallaci determinando l’autoalimentazione del disturbo. Il paziente sarà sempre più impegnato a ricercare possibili segnali di malessere e correrà il rischio di non vivere la propria vita. Prendendo spunto da una delle più recenti teorie cognitivo comportamentali di terza generazione, l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT), aiutare la persona a sviluppare una flessibilità psicologica può essere di grande aiuto per affrontare il problema del panico. Per flessibilità psicologica si intende la capacità di vivere il momento presente senza lasciarsi trascinare nel passato o nel futuro, riconoscere i propri pensieri senza fondersi in essi, vincere la tendenza ad evitare le situazioni di disagio, identificare quando ci definiamo in modo eccessivamente rigido e saper agire tenendo conto di ciò che è davvero importante per noi. Chi ha vissuto l’esperienza del panico, cerca di controllare sempre di più i segnali del proprio corpo perché non vuole più sperimentare quelle sensazioni. Purtroppo il controllo eccessivo porta a riconoscere possibili segnali di panico, come un maggior battito cardiaco, un piccolo disturbo addominale, una “strana” sudorazione, specie in presenza di situazioni simili a quelle del primo episodio. Diventa facile a questo punto “fondersi” con il pensiero che è meglio evitare certe situazioni per non provare nuovamente il panico. Aiutare la persona affetta da attacchi di panico a riconoscere le proprie sensazioni corporee senza per questo averne paura e a districarsi da pensieri eccessivamente rigidi sono i primi passi per superare il disturbo. Attraverso esercizi esperienziali sarà possibile insegnare al paziente come vivere ciò che si presenta nell’esperienza presente in modo più sereno. Ulteriore passaggio sarà la ricerca di ciò che è davvero significativo per la singola persona, i cosiddetti valori, e come impegnarsi in azioni che vadano verso quelle direzioni. La maggiore difficoltà per chi soffre di attacchi di panico è riuscire a sospendere l’evitamento di situazioni considerate pericolose, ma è indispensabile ricordarsi di “non pensare di essere sulla strada giusta solamente perché è un sentiero ben battuto”.
( fonte: PSICOCLINICA)

Dott. Enrico Prosperi

Medico-Chirurgo

Specialista in Psicologia Clinica

Università di Roma Sapienza

© 2013

Bibliografia

APA. American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (Fifth Edition). Washington, D.C.: American Psychiatric Association
Hayes S.C., Strosahl K.D., Wilson K.G., ACT. Teoria e pratica dell’Acceptance and Commitment Therapy, 2013, Raffaello Cortina Editore, Milano

Written by barbaraprampolini