Silvano Sighinolfi, classe ’48, e Vittorio Setti, classe ’46, hanno compiutoil giro del mondo in barca a vela. Lungo le 42mila miglia percorse hanno compreso quanto sia importante tenere a bada la propria mente.
Viaggiare significa vivere in tutta la pienezza del termine; è dimenticare il passato e l’avvenire a favore del presente; è respirare completamente, godere di tutto, impadronirsi della creazione come di una cosa che ti appartiene, è cercare nella terra miniere d’oro che nessuno ha scavato, nell’aria meraviglie che nessuno ha visto, è passare accanto alla folla e raccogliere nell’erba le perle e i diamanti che essa, ignorante e distratta, ha scambiato per fiocchi di neve e gocce di rugiada». Sono parole di Alexandre Dumas padre. Io sono devota al figlio ma anche il padre è stato un gigante: pare che il primo si sia ispirato alla vita del secondo per scrivereIl conte di Montecristo. Silvano Sighinolfi, classe ’48, e Vittorio Setti, classe ’46, nell’agosto del 2013 sono partiti per il giro del mondo in barca a vela. Silvano, Vittorio e «Festina Lente», un ketch (due al- beri) di 16 metri, hanno partecipato alla World Arc (Atlantic Rally for Cruisers), unica barca italiana, unico equipaggio formato da sole due persone. Hanno percorso in quasi due anni 42mila miglia, attra- versato i tre oceani, i cinque continenti e visitato 23 Paesi diversi. Nel nome della barca uno dei significati del viaggio, «sbrigati lentamente», la traduzione letterale del motto che Svetonio attribuì all’imperatore Augusto. Il senso è quello dell’efficienza e della prudenza, della prontezza ma anche dell’attenzione alle situazioni. In barca a vela, soprattutto quando si affrontano avventure così impegnative, è necessario essere pronti ma cauti, veloci ma prudenti, e soprattutto disciplinati, come tiene a sottolineare Sighinolfi. Mi sono chiesta che cosa spinga due persone, nell’età in cui per tanti la vela rappresenta un momento di svago e relax, ad affrontare una sfida di questo tipo, con indubbi rischi, pericoli, situazioni difficili, essendo solamente in due. «È come essere in solitaria», affermano entrambi, perché di fatto le 24 ore sono scandite da turni di sei ore di giorno e quattro di notte, che devono essere rispettati in modo rigoroso qualunque cosa succeda, anche se uno dei due ha un problema o non si sente bene. Altrimenti è il caos, con annessi rischi e interruzione di un equilibrio che invece in barca è determinante e fa richiamo al concetto di disciplina di cui sopra. La prima risposta dei due velisti è stata che non potevano non cogliere la sfida, non cercarla, non rincorrerla. Hanno sentito l’attrazione, entrambi verso qualcosa che mettesse alla prova sia loro stessi come persone sia la loro amicizia ma anche le loro capacità. Leggendo nei loro occhi l’entusiasmo per la grande ricchezza che questo viaggio gli ha restituito si comprende che lo rifarebbero. È un po’ quello che afferma Dumas. Conoscere, scoprire, vedere
con i propri occhi e toccare con mano cose, popoli, culture e nature che appartengono al mondo ma sono distanti dalla nostra quotidia- nità. Per viaggiare si deve essere curiosi, amare l’avventura, saper governare l’imprevisto, tanto più quando il mezzo e il contesto rappresentano una fonte di rischi. Parlando proprio dei pericoli e per centrare il nostro tema, ho affrontato con entrambi il concetto della paura allorquando, come è capitato anche a loro, si presenta una situazione difficile, quando il mare e le condizioni atmosferiche ti mettono alla prova. «Quando si è in barca non si ha il tempo di avere paura», afferma Setti. «Più la situazione è critica, più si deve mantenere la lucidità necessaria per fare ciò che serve e che la situazione richiede».

Hanno citato un esempio: una volta, durante una burrasca, l’equipaggio di una barca relativamente vicina a loro, che tuttavia non faceva parte del giro del mondo, preso dal panico, ha lanciato un sos: si sono tutti buttati in mare per farsi recuperare da elicotteri che casualmente erano in zona per una esercitazione. Purtroppo uno di loro non ce l’ha fatta e ha perso la vita. Abbandonare la barca è stato un errore gravissimo, un gesto illogico che fa capire quanto fossero impreparati. A distanza di tempo l’imbarcazione è stata ritrovata a vagare in perfette condizioni. Questo significa che andare per mare non è da tutti e che per sconfiggere la paura le armi stanno principalmente nella competenza, nella conoscenza del mezzo e di come si muove nelle varie condizioni. Una barca a vela, a meno che non subisca gravi danni strutturali, è il posto più sicuro nel quale rifugiarsi proprio durante una tempesta. È costruita per restare in asse grazie al bulbo, alla chiglia, che pur consentendo alla barca di effettuare movimenti pazzeschi la rimette sempre in posizione. Il panico è pericoloso ma la conoscenza viene in soccorso per annullarlo. Quella di Setti e Sighinolfi è l’esperienza di due uomini straordinari, di due im- prenditori modenesi che si sono tuffati nella loro passione, insieme, che hanno goduto del viaggio e che mai, anche nei momenti più critici, hanno rimpianto la decisione presa. Parla anche del valore dell’amicizia, quella vera, che lungi dallo sfaldarsi, dopo due anni di convivenza si è rinfor- zata. È bello sognare anche solo intervistan- doli o leggendo il libro che ha scritto Setti,Il mio giro del mondo a vela a 68 anni… Si può fare! (edizioni Il Fiorino). Ma loro oltre a sognare hanno avuto il coraggio di mettersi in gioco e per questo sono speciali.

ARBITER | LUGLIO 2018

Written by barbaraprampolini