I confini del piacere…

L’equilibrio psicofisico è indispensabile per potersi godere le infinite fonti di appagamento della vita. Ma ricercando lo stesso piacere in continuazione, si rischia di cadere nella dipendenza.

I l piacere si snoda lungo quella che può essere definita l’autostrada delle esperienze della vita che rappresenta il nostro vissuto, la nostra memoria. Attingeremo a quelle sensazioni e a quelle esperienze ogni volta che desidereremo riprovare un certo piacere. A ciascuno poi piace piacere agli altri, oggi più che mai, nella società social in cui si combatte dai 15 anni ai 65 almeno per ricevere consensi e condivisione: è la società edonistica per eccellenza in cui apparire conta molto più che essere e il piacere estetico, quello che definisco prêt-à-porter, passa per canoni ben definiti e feroci, standardizzati e anche omologati. Insomma, tante cose ci parlano del piacere, forse troppe. Non esiste però una definizione universale, esso è quanto mai soggettivo. Che cosa sarebbe tuttavia una vita senza il piacere? Per le attività di volontariato che svolgo mi capita di frequente di avere a che fare con persone depresse e mi rendo conto con grande tristezza di come vivano una vita priva o quasi di piaceri perché la malattia li porta ad avere una visione del mondo e dell’esistenza cupa, pessimista e incolore. Essere in equilibrio psicofisico è indispensabile per potersi godere le fonti infinite di appagamento che ci circondano: le mille sfumature della natura nel suo manifestarsi, un buon piatto da gustare, un romanzo avvincente da divorare pagina dopo pagina, un amore da vivere, il sapore di un buon vino o del proprio sigaro preferito, l’attesa vacanza in barca a vela… Non solo, i piaceri sono anche quel rifugio sicuro nel quale rintanarsi quando le cose vanno male, quando siamo arrabbiati, quando qualcosa o qualcuno ci ha ferito o deluso. Senza piaceri che controbilancino le difficoltà che molto spesso la vita ci presenta il mondo sarebbe davvero molto sterile.

Il neurologo Rosario Sorrentino però ci mette in guardia: se ne ricerchiamo uno con particolare frequenza, come per il successo e il potere (che sono entrambi comunque dei piaceri), possiamo cadere in una dipendenza. Ciò accade tutte le volte in cui la memoria emotiva è talmente coinvolgente da richiederci una dose sempre maggiore della nostra fonte di soddisfazione per riuscire a riprodurre quelle stesse condizioni e provare le medesime sensazioni. È nel nostro cervello che si creano le condizioni biologiche che ci possono rendere schiavi del piacere; si creano delle condizioni di tolleranza che significa appunto passare da un sano desiderio a una patologia. Il piacere è scolpito nella nostra memoria; lì si depositano, insieme alle emozioni negative di sofferenza e dolore, anche quelle positive di appagamento e gioia che abbiamo sperimentato durante il corso della nostra vita. Pertanto, ogni volta che viviamo una situazione nuova di piacere questa rimarrà nella nostra memoria come un’impronta, un riferimento, un cassetto con un codice ben preciso. Talvolta, richiamati dal desiderio di rivivere quella sensazione, andremo a ricercare proprio ciò che sappiamo procurarci determinato piacere. Chi, amante del cioccolato come me, al solo pensiero non prova una sensazione di soddisfazione? Questo perché appunto abbiamo chiaro nella memoria il sapore del cioccolato, la consistenza, la morbidezza.
Sono curiosa invece di sapere se il piacere ha una sede nel nostro cervello, ma Sorrentino afferma che si tratta di una sensazione talmente ampia e diffusa che si può rappresentare come una rete. Parte da un circuito che si chiama via mesolimbica corticale; una via dopaminergica. È evidente che il piacere è legato alla dopamina, il neurotrasmettitore che media e veicola il trasporto delle emozioni, delle esperienze; ha un suo nucleo, che è il nucleo accumbens, localizzato in una parte del nostro cervello ma anche nei centri della corteccia cerebrale dove la sensazione, la percezione diventa cognitiva, consapevole. Si può pertanto affermare che il piacere circola attraverso il nostro cervello veicolato dai circuiti nervosi. Infine, rifletto sul fatto che i piaceri più profondi che accompagnano la mia vita, quelli che io considero di lusso e più sofisticati, spesso sono un’esperienza solitaria più che condivisa. Per condividerli devo sentirmi particolarmente in sintonia con qualcuno, devo sapere che ha la mia stessa sensibilità e apprezza almeno quanto me ciò che stiamo condividendo: se io amo la musica e trascino un’amica o il compagno a un concerto sapendo che mi accompagnano solo per accontentarmi, la soddisfazione che ne ricevo è di gran lunga inferiore rispetto alla situazione in cui fossi andata sola. La stessa cosa la potrei distribuire a macchia d’olio a tutti gli altri piaceri piccoli o grandi della vita. Certo, se un grande piacere personale si può condividere con la persona giusta allora l’effetto è moltiplicato, ma è un equilibrio precario: basta un dettaglio fuori posto a rompere l’incantesimo. E non esiste cosa più sgradevole di chi mi disturba dal godere a pieno di qualcosa che amo.

IL PIACERE NON HA UNA SEDE SPECIFICA NEL NOSTRO CERVELLO, MA
SI TRATTA
DI UNA SENSAZIONE TALMENTE
AMPIA CHE SI PUÒ FIGURARE
COME UNA RETE

Barbara Prampolini per ARBITER | MAGGIO 2017

Written by barbaraprampolini